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LUCA COMERIO – 3

Non si deve mai lodare il giorno prima della notte: guerre e dopoguerra in Luca Comerio
Nel cinegiornale LUCE del 1940 per la morte di Luca Comerio, proiettato qui l’anno scorso nella seconda parte del programma triennale dedicato al cineasta, l’enfatica ma mai veramente commossa voce fuori campo lo definiva “umile ma valoroso operatore”: un apparente omaggio che ostentava tutti i possibili ridimensionamenti di cui Comerio è stato oggetto. Egli fu davvero un grande operatore (e prima ancora fotografo di immagini fisse che già tendevano al movimento) ma è stato anche e sempre un cineasta, un regista totale. Bisognerà attendere nel cinema italiano Mario Bava (accostamento tutt’altro che peregrino se pensiamo al versante documentaristico di costui) per conoscere una pari capacità di tradurre il ruolo di operatore di ripresa in quello di regista, anche prima di un suo ufficiale dichiararsi regista.
Ma quelle quattro parole dello speaker LUCE riassumono molti altri equivoci sul nostro. Lo confinano nell’universo (che invece è fluido) del documentario, del film dal vero, mentre a una visione odierna dei suoi film di finzione, comici ma non soltanto, s’impone una forza di mise-en-scène capace allo stesso tempo di inserire nelle opere documentarie riprese ricostruite che assommano la verità della finzione a quella (sempre dubbia) del documento, e nel contempo danno ai suoi film di finzione una trasparenza, delle presenze flagranti che li pongono tra i più originali e liberi del cinema italiano muto.
Sempre in quelle quattro parole, “umile ma valoroso”, c’è una doppia falsificazione: certo Comerio fu capace di reale modestia (non a caso critica e istituzioni non l’hanno celebrato come cineasta) ma non certo nel senso, cui si allude, che egli fosse al servizio del potente di turno (fotografo del re, operatore esclusivo delle guerre coloniali e della grande guerra…), e perciò gli si attribuisce un “valoroso” non certo per i rischi reali che affrontava nelle riprese ma come una medaglia al soldato che doveva accettare il suo destino pur non amando la guerra e la morte.
Il cinema c’insegna che ogni falso fa tuttavia trapelare il vero. Ce lo rivela uno dei libri fondamentali del giornalista milanese Paolo Valera (1850-1926), dedicato alla rivolta milanese repressa nel 1898 dal generale Bava Beccaris, in un atto di guerra civile ahimè ricompensato dal sovrano provocando giuramenti di vendetta anarchici, rivolta che diventò il primo “set” di Comerio, non ancora cineasta ma fotografo, e verso la quale Valera dedica con Anna Kuliscioff e altri socialisti e anarchici un’accanita denuncia (che giustamente fece dire a Amadeo Bordiga che prima del fascismo Francesco Crispi e Bava Beccaris non erano stati meno feroci), prolungandola nella doppia edizione del libro in questione (La sanguinosa settimana del Maggio ’98, 1907; Le terribili giornate del maggio ’98, 1913). Nessuno storico del cinema tra quanti si occuparono di Comerio segnala quel volume e un suo capitolo rivelatore, Il fotografo delle barricate, dove l’intransigente Valera rimprovera a Comerio il recente porsi al servizio dei poteri, e tuttavia rivela che egli, parlando di come riuscì a riprendere a rischio della propria incolumità quegli scontri di guerra civile, disse senza reticenze:“Io avevo sempre il cappello in mano e non parlavo che col linguaggio del servitore, anche quando avevo in tasca il passe-partout di Bava Beccaris.”
Come poi nelle riprese sulle guerre africane e nella guerra europea divenuta mondiale, Comerio poteva accettare i passe-partout del Luigi Cadorna di turno ma sapeva di doversi fare servitore in un senso più profondo: cercando gli spiragli della verità in ciò che doveva riprendere.
Questa terza parte del nostro dovuto omaggio vuole almeno tendenzialmente completare la presentazione del grande cineasta: il primo anno ci siamo soffermati su alcuni capolavori tra le sue riprese nella grande guerra; il secondo anno abbiamo tentato di ricostruire l’insieme della sua vicenda artistica sottolineandovi la presenza di vari “anteguerra” che preludevano alle guerre; quest’anno, oltre ad alcune necessarie aggiunte di film sulla guerra italo-turca e sulla prima guerra mondiale, ci soffermiamo sulla fase per lui particolarmente difficile del dopoguerra, tra la fine della grande guerra e l’inizio della seconda che egli non fece in tempo a vivere. Sono per il momento non proiettabili i film con cui ha seguito l’impresa fiumana di d’Annunzio, ci sono invece ampie tracce, anche molto originali, della sua attenzione al fascismo in ascesa, e di come questo avesse fatto propri i miti combattentistici e il discorso di morte derivanti dalla grande guerra. Tuttavia nel doppio programma di quest’anno vogliamo ribadire la forza di cineasta totale di Comerio, e dunque ciascuno dei due programmi si apre con un film di grande invenzione visiva estraneo alla storia politica (Il baco da seta che anticipa piuttosto il territorio di Roberto Omegna e in Francia di Jean Painlevé, e Il carnevale di Nizza che prelude allo splendido Jean Vigo), e ciascuno dei due programmi si conclude con due grandi film comici dedicati, alla vigilia della prima mondiale, alle maschere di Edoardo Ferravilla, figura geniale e universale del teatro milanese. Ma la cosa sorprendente è come questi film comici, documenti di un teatro tra i più grandi che l’Italia abbia avuto, non si chiudano mai nel “teatro filmato” ma sottolineino liberamente il rapporto con la storia e le maschere della politica che il cinema di Comerio ha percorso: in La class di asen il ritratto campeggiante a fondo campo del Re d’Italia è come un prolungamento dentro la scena di una figura che attraversa altri film del regista; in Tecoppa & C. la parodia dello spiritismo diventa un beffardo riconvocare in vita tutti i morti che le vicende storiche attraversate dalle riprese di guerra dei film di Comerio hanno filmato. I suoi film ci colpiscono infatti per la profonda pietas: che siano film sul terremoto di Messina o sui campi di battaglia, i loro morti, anche quando la committenza propagandistica vorrebbe diminuire il numero delle “nostre” perdite o gioire di quelle del nemico, diventano per Comerio innanzitutto vittime comuni di vicende tragiche. Non è un caso che, quando Cecilia Mangini, Lino Del Fra e Lino Miccichè hanno realizzato All’armi siam fascisti! nel 1962, hanno trovato nel cinema di Comerio la più spietata rappresentazione del colonialismo italiano: il carrello sugli impiccati libici, da essi montato nel film, va oltre ogni ruolo di servitore verso chi ha commissionato il film, serve solo la libertà di sguardo e perciò diventa documento vero, tra i più rivelatori per quel film schierato in senso radicalmente antifascista. E fino ad oggi tra i repertori dei montaggi sulla grande guerra alcune immagini di Comerio hanno la massima forza iconica. Quest’anno riusciamo a proiettare finalmente La sixième bataille de l’Isonzo, che per un’erronea classificazione d’archivio era già indicato come Les annales de la guerre no. 8 e con questo titolo abbiamo voluto proiettarlo due anni fa, vedendoci invece pervenire il film cui fu nel frattempo corretta la titolazione. In questo film sulla presa di Gorizia sono contenute alcune delle immagini che meglio sintetizzano qualsiasi guerra, come l’ingresso dei soldati che incontrano un trasporto funebre, in un incrociarsi di movimenti che rende quell’inquadratura un capolavoro assoluto, confermando quanto ci disse l’anno scorso Roberto Turigliatto alla visione del film sul terremoto di Messina, “qui ogni inquadratura diventa un capolavoro”, e si tratta dell’osservazione più giusta per capire come in Comerio la ripresa fotografica diventi sempre messinscena, in un concentrarsi di pensiero, immagine e sentimento tra i più alti del cinema.
Dalla pietà all’amore è stato il titolo che abbiamo preso in prestito l’anno scorso da un film di Comerio per l’intero nostro programma. Titolo che indica un movimento, come altri del regista: Dal Polo all’Equatore (ritrovato e rigirato da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi nel 1987), o Dal Grappa al mare cui il restauro digitale della Cineteca Nazionale riattribuisce il giusto titolo dopo un’erronea catalogazione come Cimiteri degli eroi. È evidente da alcuni esempi citati che il lavoro sul cinema di Comerio è appena agli inizi, anche se già alla fondazione della Cineteca Italiana se ne segnò una prima scoperta da parte di Luigi Comencini che riconobbe lo splendore di L’avventura galante di un provinciale mentre oggi lo stesso archivio ritrova e restaura la collezione di Piero Mazzarella dei film con Ferravilla. E sempre la Cineteca di Milano detiene il grande film comico che presentammo l’anno scorso col suo titolo tedesco e di cui identifichiamo ora il titolo italiano, assumendolo a titolo dell’intero programma di quest’anno perché ci sembra ben sintetizzare l’incertezza con cui le vicende storiche possono preludere a nuove guerre.
Siamo particolarmente contenti che il nostro programma abbia accolto contributi e restauri da tutti gli archivi FIAF italiani: Roma, Milano, Bologna (col suo prezioso lavoro sull’esperienza del Kinemacolor), Gemona e Torino (da cui proviene fuori rassegna la ricostruzione di Captain F.E. Kleinschmidt’s Arctic Hunt, da noi conosciuto con il titolo assegnato di “Caccia alla foca e all’orso”,  che non è del regista ma fu da lui acquisito e montato tra le sequenze del citato Dal Polo all’Equatore), cui si aggiungono gli archivi del LUCE, dell’AIRSC,  dell’Associazione Hommelette, della Fondazione Opera Campana dei Caduti di Rovereto… disseminazione che si amplia ai ritrovamenti negli archivi e nelle collezioni estere, a segnalare come attraverso Comerio il cinema italiano avesse raggiunto uno dei suoi massimi momenti di presenza internazionale, di fatto rovesciando le mitologie nazionalistiche che condussero l’Italia nella prima guerra mondiale.
Gli ottimi studi già esistenti sul cineasta, dalle filmografie di Aldo Bernardini al pionieristico Luca Comerio fotografo e cineasta pubblicato nel 1979 per le edizioni Electa, al volume Moltiplicare l’istante pubblicato presso Il Castoro nel 2007, alla rievocazione di Paolo Pillitteri e Davide Mengacci edita da Spirali nel 2011, fino alle recenti indagini di Maria Assunta Pimpinelli, aprono l’universo Comerio a numerosi quesiti filologici ed estetici, cui abbiamo cercato di dare un contributo con la presente rassegna triennale, seguendo alcune intuizioni senz’altro da approfondire.
Questa terza parte del nostro viaggio (che potremmo dire da Comerio a Comerio con la stessa percezione planetaria di Dal Polo all’Equatore) ci fa incontrare in particolare il momento più “perdente” del suo cinema, quando il consolidamento del regime, con la centralizzazione nel LUCE della documentazione dei vari archivi militari e della produzione documentaristica, maltratta Comerio rifiutando i suoi tentativi di “mettersi al servizio”. Ne escono lungometraggi come Dal Grappa al mare che contiene immagini bellissime che è facile attribuire a questo sommo cineasta (vedasi il cimitero rurale con le due vecchie, l’una inginocchiata, l’altra accostantesi alle croci di legno, e un’inquietante bambina che attraversando il fondo-campo scopre qui evidentemente i rituali della morte), ma sommerse in una costruzione che priva Comerio delle sue didascalie firmate per sostituirle piuttosto con versi retorici di Carducci su Trieste, d’Annunzio su Fiume, Giuseppe Ellero su Gorizia, Caporetto e Udine “capitale della guerra”. Insomma siamo più dalle parti del tronfio Gloria di Omegna al LUCE che del collettivo Gloria. Apoteosi del soldato ignoto in cui la ferocia della morte si sottrae alla propaganda, o della fiaba di Elvira Giallanella e della “piccola patria” di Chino Ermacora. L’anno stesso della morte di Comerio un altro grande cineasta, Ferdinando Maria Poggioli, realizza una nuova versione di Addio giovinezza! il cui titolo potrebbe anche essere letto come Addio, “Giovinezza” con riferimento all’inno che nel 1922 Comerio aveva reso titolo di un suo film bellissimo su un raduno con Mussolini a Milano, uno dei suoi film più “servili” e tuttavia liberi nello sguardo, forse anzi l’unico film in cui chi fa la storia seppur con la determinazione di imporsi agli altri ci appare perplesso e interrogativo.

Sergio M. Grmek Germani

Prog. 1
Mar/Tue 3 – 14:30 – Teatro Verdi

IL BACO DA SETA (Der Seidenwurm) (IT 1909)
LA GUERRA ITALO-TURCA (IT, 1925-1926)
LA GLORIOSA BATTAGLIA DEL 12 MARZO A BENGASI NELL’OASI DELLE DUE PALME Seguito da frammento/Followed by a fragment, [Costruzione delle trincee] (IT 1912)
THE VICTORIOUS BATTLE FOR THE CONQUEST OF MERGHEB, AFRICA (IT 1912)
LA VITA DEI NOSTRI ASCARI ERITREI IN LIBIA (IT 1925)
PLOTONI NUOTATORI DELLA 3ª DIVISIONE CAVALLERIA COMANDATA DA S.A.R. IL CONTE DI TORINO (IT 1912)
SIXIÈME BATAILLE DE L’ISONZO (IT 1916)
RESISTERE! (IT 1918)
“GIOVINEZZA, GIOVINEZZA, PRIMAVERA DI BELLEZZA!” L’ADUNATA DEI FASCISTI LOMBARDI A MILANO (MARZO 1922) (IT 1922)
VISITA DI S.M. IL RE VITTORIO EMANUELE III ALLO STABILIMENTO PIRELLI ALLA BICOCCA. 20 GIUGNO 1927 (IT 1927)
LA CLASS DI ASEN (IT 1914)

Prog. 2
Gio/Thu 5 – 17:30 – Teatro Verdi

IL CARNEVALE DI NIZZA (IT 1913)
LA CAMPANA DEI CADUTI. ROVERETO 24 MAGGIO 1925
(IT, 1925-1926)
DAL GRAPPA AL MARE (IT 1925)
TECOPPA & C. (IT 1914)

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Date
  • 16 March 2017